Quando l’ho conosciuto, ero da un anno responsabile della redazione di Caserta de Il
Mattino, facevo un vero e proprio giornale nel giornale. Avevo accettato questo incarico
perché mi piacciono le sfide, Caserta è una realtà complessa e difficile, dove la cronaca
non manca. Però, aldilà delle routine, riunioni, menabò, articoli, gestione dei colleghi e di
un infinito numero di collaboratori, mi ero ritagliata uno spazio tuttomio, una rubrichetta di
commenti su vini e ristoranti dal titolo che evocava un cioccolatino: Tartufon.
Un amicomi aveva parlato di un avvocato che aveva riscoperto tre antiche varietà di uva
da vino, praticamente scomparse: Pallagrello bianco, Pallagrello nero e Casavecchia. E
che aveva fatto le sue prime bottiglie. Quell’uomo si chiamaPeppeMancini ed è diventato
miomarito con tanto di cerimonia in bottaia dinanzi a un sindaco perplessoma divertito di
celebrare nozze così anomale in piedi davanti a una barrique, con gli invitati sparsi tra le
botti.
Chi conosce il mondo dei giornali sa che a noi piace dire con grande autoironia che “fare il
giornalista è sempremeglio che lavorare”. Posso confermare. Nonostante il mio ex lavoro
sia faticoso, usurante, pieno di tensioni, sempre in lotta col tempo, sempre a montare e
smontare il giornale, niente a che vedere col lavoro dei campi. Sotto il sole e nel fango se
c’è da lavorare si lavora e basta, si pota nel gelo dell’inverno, si sfoglia nel vento sferzante
della primavera, si vendemmia sotto un sole che ti spezza in due come una foglia secca.
Insomma, tutta un’altra cosa. Ma con una sua bellezza intrinseca. Quando lavori solo con
la testa (e la penna) invece perdi il contatto con le stagioni, il tempo, il caldo e il freddo
sono solo opzioni sul condizionatore della redazione. In una parola, non sai niente delle
cose semplici che ti circondano. Naturalmente sai tutto su altre cose, sulla politica, sulla
cronaca, insomma sul macrocosmo. Ma perdi il contatto col microcosmo, con le piccole
cose che fanno grande la nostra vita.
