Page 7 - januapress

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Di fronte alla fierezza e alla beltà della natura, del suo sapersi abbellire
nel corso dei secoli, in maniera così innocente e semplice, senza
artifizi, il pensiero e il cuore si fecero piccoli piccoli, in segno di
rispetto.
Ritornammo, in seguito, in quella valle e i dettagli, che a causa della
pioggia erano sfuggiti, quel giorno fermarono le immagini come
fotogrammi dentro di noi, creando un legame indissolubile: gli sguardi
s’incontrarono e non ci fu bisogno di parole per conclamarlo.
Quel terreno, quel rudere, quel silenzio rotto solo dagli animali del
bosco, era già stato nostro, da sempre. Forse in un altro tempo, un
altro mondo, un’altra vita.
Era però rimasta traccia nei nostri cuori.
Ci siamo abbracciati, felici, senza considerare il futuro, solo godendo
delle emozioni del momento, dell’aria frizzante che respiravamo, del
passato che ogni stanza del rudere rivelava, della vita che era stata,
della memoria che l’uomo lascia dietro di sé, tramite le sue opere, in
vita.
Ci aggiravamo nei meandri del rudere in silenzio, intimiditi noi stessi
dai cambiamenti che volevamo apportare.
In quel grande castellaro ligure, nel suo bosco, si erano snodate la
gioia, la tristezza, il sorriso, il pianto e la malinconia dell’abbandono di
persone vissute in tempi diversi dai nostri.
L’immaginario volava e creava, indipendente dal quotidiano. Ci
portava a tempi remoti, a vite rurali, ad amori contrastati; ma anche a
famiglie unite che crescevano ed annettevano, magari in tempi più
recenti, ad un corpo di fabbrica iniziale, un altro e poi un altro
ancora, man mano che i nascituri allietavano il bosco con i loro
gridolini felici.
Frequentando abitualmente il “Petit”, Andrea mi ha insegnato a
“vedere” nascere la vita.
Quasi per gioco, ho imparato a smuovere la terra, a seminare.
Ho visto spuntare i primi germogli con lo stupore di una bambina.