Anna e Vincenzo: la magia dell'amore
3 Introduzione Già prima d’incontrare Vincenzo Buonassisi nella redazione di Civiltà del bere a Milano, lo leggevo da anni sul Corriere della Sera , a proposito di teatro lirico, delle serate alla Scala, di cronache, di critiche, di commenti al lavoro di mio padre Francesco, impegnato sul podio da direttore nei più prestigiosi teatri al mondo. Vincenzo, con quel viso dagli occhi vivaci, sorridenti, aveva sempre, nello scrivere, espressioni fini ed eleganti, educate, belle maniere ma non di facciata, di natura e d’istinto benevolo, intelligente, positivo, costruttivo. Fondamentalmente era un ottimista, almeno così io l’ho inteso e conosciuto. Parlava di colori, di vestiti, di voci, di musica, d’arte con la facilità naturale tipica del colto e del consapevole, pur svolazzando tra i palchi e le poltrone, nei camerini come per la strada, nei saloni illuminati come tra i tavoli in penombra. Erano immagini sempre colorate, derivanti certamente dalle sue origini meridionali, di cui raccontava volentieri, di cui si vantava. Origini e territorio che frequentò con assiduità, sia nel giornalismo che negli scaffali delle librerie, per quella letteratura locale, antropologica sublimazione di cui fu autore, con il tempo trasformatasi in poesia.
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