San Leonardo

Mia madre, infatti, avendo potuto stabilire i primi contatti epistolari con Eugenio Franchini gli richiese notizie e generalità di quanti irredenti si trovavano con lui in prigionia. Per allargare le indagini e le ricerche, mia madre pensò di inviare ad ognuno dei prigionieri individuati una lettera a stampa sia in italiano che in russo, colla preghiera di rispondere sullo stesso foglio elencando i nomi, lo stato di salute e l’indirizzo esatto di quanti erano colà prigionieri o fossero stati trasferiti in altro campo. Man mano che pervenivano le risposte queste venivano fatte pubblicare sui giornali locali del tempo come ad esempio “Il Nuovo Trentino”, “Il Popolo” e “L’Alto Adige” di Trento, “Il Piccolo” di Trieste, ecc., dal marzo 1915 in poi. Queste informazioni alimentarono, come ben si può immaginare, una nutrita corrispondenza anche con le famiglie dei prigionieri, ognuna delle quali invocava il suo intervento per far giungere al congiunto lontano le proprie notizie, pacchi e denaro. E notizie, pacchi e denaro furono regolarmente recapitati. Il 24 maggio 1915 tutto questo immenso lavoro di corrispondenza, che si svolgeva a Torino dove mia madre abitava, venne bruscamente interrotto con le Provincie Irredente a seguito delle iniziate ostilità belliche contro l’Austria-Ungheria. Un nuovo dramma per migliaia di persone irredente. In tanto dolore ed angoscia, ancor più sensibilizzati dalla presenza del suo unico figlio volontario al fronte, mia madre si sentì chiamata quasi ad impersonare tutte le madri dei prigionieri e ad adoperarsi per loro. Ebbe così inizio per lei la seconda parte di questa opera veramente grande e generosa. Intelligente, dinamica e volitiva, pensò ed operò per il rimpatrio dei prigionieri irredenti in Italia. Conosceva ormai i nominativi di circa tremila persone, dislocate in 27 campi parte nella Russia Europea, parte in quella Asiatica. Forte del cuore e delle sofferenze di tanta umanità, iniziò subito i contatti con l’On. Salandra, Presidente del Consiglio e con l’On. Sonnino, Ministro degli Affari Esteri. A loro chiese, ripetutamente richiese, finché ottenne, che una prima missione italiana si recasse in Russia per ispezionare i campi e per sollecitare un concentramento dei prigionieri disposti ad essere rimpatriati in Italia. Invocò contemporaneamente ed ottenne la comprensione e l’appoggio dell’Ambasciatore di Russia presso il Quirinale, il quale con i suoi rapporti al proprio Ministero facilitò il compito di quella pri-ma Missione. Nell’ottobre 1916 il primo convoglio di prigionieri, imbarcati a Santarcangelo su due bastimenti da trasporto, salpò per Dover scortato da navi di guerra russe ed inglesi. Durante il viaggio il convoglio fu attaccato senza esito dalla marina germanica per la pronta reazione da parte delle scorte alleate. Da Dover, attra-verso la Manica, i rimpatriati in treno furono avviati a Torino, dove li attendeva alla stazione la loro Soc-corritrice, accompagnata dall’On. Comandini, sotto- segretario alla Propaganda, in rappresentanza del Governo e dal prefetto di Torino, S. E. Ricci. Dodicimila sono infatti i prigionieri che dalla Russia a più scaglioni ed in epoche diverse hanno fatto ritorno in Italia mercé il suo lavoro e il suo interessamento. E’stata un’opera grandiosa da parte sua ed è stata una manifestazione di grande fede e di attaccamento all’Italia da parte di questi reduci, in un periodo nel quale le sorti della guerra fra Italia ed Austria non erano ancora decise. E in attesa e colla speranza di ritornare al più presto alle loro case a alle loro terre, essi trovarono momentaneo lavoro a Torino, nelle industrie di guerra, prime fra tutte alla Fiat, perché mia madre diede la sua assicurazione personale, la più ampia, al Senatore Giovanni Agnelli, che nessun prigioniero avrebbe compiuto atti di sabotaggio. Giovanni Agnelli credette a mia madre e giustamente,

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