Mi videro solo quando gli fui davanti; erano davvero intenti nei loro
giochi ed io, probabilmente, ero controvento.
Furono fulminei, invertirono la “rotta”, girando con uno scatto sulla
mia sinistra, dove le fasce li avrebbero ricondotti al bosco.
Rividi tempo dopo, sulla strada che porta al Petit, una mamma
capriolo con il suo piccolo a fianco: mi piace pensare sia stato
concepito quel giorno.
Sempre sotto quelle querce ho fatto amicizia con uno scoiattolo molto
curioso. Stava trastullandosi, non visto, fra le fronde, quando decise di
tirare sul mio libro una ghianda; quel suo gesto provocò il mio alzare
lo sguardo.
Ero stesa sull’amaca, quindi lo vidi dal basso verso l’alto, aggrappato
al tronco d’albero tipo pelle d’orso: la testolina inclinata e quel suo
occhietto nerissimo fisso su di me. Era di dimensione superiore alla
media, tutto nero con una macchia bianca che gli ricopriva
interamente il petto.
Non era minimamente spaventato, ma solo incuriosito da me, che per
timore di vederlo scappare ero rimasta immobile e a stento respiravo.
Dopo poco, soddisfatta la propria curiosità, ricominciò a saltellare di
quercia in quercia.
Durante la settimana c’era l’ansia di terminare le nostre giornate
lavorative per correre lì, in quello che era diventato il nostro giardino
dell’Eden.
La voglia di condivisione con gli amici arrivò l’anno dopo l’acquisto, e
cominciammo ad adibire rudimentali tavoli che poi imbandivamo con
ricche grigliate e abbondante vino rosso.
Un amico, stanco del “peregrinare dei tavoli”, costruì con lunghe travi
delle panchine fisse e poi le basi per un degno tavolo, e a completare il
tutto, due belle piane di formica, ex porte di qualche struttura
smontata.
Nacquero anche “panchine da riposo”, fatte con tavole di legno,
ispirate da una comune amica che alle famigerate mangiate, faceva