Page 9 - januapress

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Abbiamo imparato non solo a riconoscere ogni pietra del nostro
castellaro, ma anche ogni pianta e ogni foglia, che per noi hanno un
significato particolare.
Nulla sfuggiva al nostro sguardo innamorato.
Scavando, per togliere i detriti accumulatisi nel tempo, trovammo
nella “Stanza del Frantoio”, così chiamata perché in origine davvero lì
erano macinate le olive ed era prodotto l’olio, svariati cocci di piatti,
otri e bicchieri …. La nostra immaginazione ricominciò a volare.
Li chiudemmo tutti in due grossi sacchi pensando un giorno di pulirli,
sceglierli ed esporli in una bacheca all’interno di quel bellissimo,
dignitoso vecchio signore in pietra (che per noi era diventato il
“Petit”), una volta ristrutturato.
Né Andrea, né io immaginavamo allora che cosa avrebbe comportato
per noi acquistare quel luogo e quel rudere per vederlo tornare a
vivere.
Vivere, vita, non riesco ad usare altri sinonimi, perché la vita per noi ha
acquisito un valore diverso da quello comune, molto meno terreno e
molto più spirituale.
Lassù, tra quelle colline e quelle rocce, tra quei pini e quei castagni, fra
gli ulivi e le querce era molto più facile parlare con Dio ed entrare in
sintonia con Lui, che restare cittadini del mondo terreno.
Il “Petit” è per noi come attraversare un ponte: un ponte che collega
cielo e terra, presente e passato, tenerezza e amore.
Un ponte sul quale è piacevole passeggiare perché ti da’ la
consapevolezza di fare parte integrante di un insieme, pur essendone
avulso e non stanziale, perché ti fa comprendere quanto la nostra
sensibilità possa percepire l’esterno, le immagini, i profumi, i colori e
possa appropriarsene nella memoria, trattenendoli per non restituirli
più. Momenti di felicità assoluta, così unici, così rari.
Non esiste nella mente difficoltà alcuna se c’e’ la volontà di
compimento: e nella mente di Andrea e mia c’era quella volontà,
motivata dai nostri sentimenti.