bimbo di un anno e non se l’era sentita di dimenticarsi di loro o di farli partire
e abbandonare il paese.
Si stimavano e si volevano bene e Santino promise a Lorenzo che sarebbe
stato con lui per accompagnarlo dove voleva andare.
“Ti mostrerò le nostre terre, Giuan, sono sicuro che farai fatica a ricordarle,
eri troppo giovane quando sei partito. Ricordati sempre di parlarne con le tue
figlie, quando tornerai in Argentina. Non bisogna mai dimenticare la famiglia
e le sue tradizioni.”
Con l’orgoglio del contadino, Santino fece scarpinare in lungo e in largo il
povero Giuan, su e giù per quelle erte montagne, per trovare piccoli campetti
qua e là, terrazzati, coltivati a frumento, granoturco e patate.
Ogni tanto, vedendo l’espressione un po’ delusa di Giuan, commentava:
“Certo, non sono grandi come quelli argentini, ma sono coltivati dalla nostra
famiglia da tante generazioni, non te ne scordare.”
I giorni volarono in fretta, tra un pranzo e l’altro in casa di amici e parenti, tra
visite ai paesi vicini e lunghe dormite nelle cascine piene di buon fieno
profumato.
Due giorni prima della partenza, dopo una mattinata nei boschi in cerca di
funghi, Santino si fermò di colpo sul sentiero e volgendosi lentamente disse:
“Guarda… sembra la coda di un serpente” e con un calcio dello scarpone
fece srotolare una grossa e viscida vipera, che con una mossa repentina, si
volse e lo colpì alla caviglia. Impietrito per lo stupore e il dolore, l’uomo si
accasciò, ma Lorenzo, abituato a ben altri serpenti, lo fece rimanere immobile,
si strappò la camicia e ne fece un laccio per la gamba. Tolse dalla tasca il suo
coltellino e gli praticò una profonda incisione; subito dopo cominciò a
succhiare e sputare tutto il sangue che poteva, portando fuori il veleno nel più
breve tempo possibile.
Santino non ebbe neppure il modo di reagire e protestare. Il dolore
improvviso e il male che sentiva in quel momento, gli avevano tolto la parola
e si limitava a subire quello che il cognato gli stava facendo, sapendo bene che
c’era di mezzo la sua stessa vita.
Tornarono che era quasi buio. Santino fu sistemato sulla panca della cucina e
dopo un po’, una processione timorosa di paesani cominciò ad entrare per
guardare la sua gamba. Tutti gli facevano gli auguri e lo salutavano e
cercavano di farlo parlare perché non si addormentasse, in modo da essere
certi che il veleno era stato tolto tutto.
Lorenzo divenne l’eroe del paese per una seconda volta e l’ammirazione che si
leggeva negli occhi di tutti gli rimase impressa nella memoria per il resto della
sua vita.