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Le vicende urbanistiche
di
Carla Campodonico e Silvio Ferrari
Pochi centri urbani, in Liguria, sono strutturalmente e socialmente
leggibili come la città di Camogli. Al suo sviluppo, in precedenza
assai più lento e commisurato alle cadenze della civiltà contadina
da un lato e ai proventi sostanziosi dell’attività peschereccia
dall’altro, l’età moderna e la storia del Regno di Sardegna prima e
dell’Italia unita poi, hanno impresso un ritmo di accelerazione
straordinario di cui è integralmente salvo il complesso del
patrimonio edilizio residenziale e restano i valori (e anche la
decadenza odierna) di alcuni grandi servizi urbani pensati per una
comunità che si è rimpicciolita rispetto alla dimensione per cui era
stata pensata e costruita.
E’ forse questa la ragione per cui, a cominciare dagli anni ’60 del
secolo passato, un’esercitazione sulla qualità e lo spessore
dell’urbanistica camogliese, costituisce una specie di “percorso
obbligato” per tutti gli studenti della Facoltà d’architettura delle
università italiane.
E in effetti la “scala” che dal mare raggiunge la quota del Monte
Esoli – cioè l’aspetto preponderante della vista di Camogli, per chi
costeggia in direzione est rispetto a Genova- costituisce anche
oggi una “parete”densa di manufatti e carica di memorie civili.
La città dei “mille bianchi velieri”, forte di un assetto sociale
dominato dalla classe armatoriale che ne condiziona le scelte
amministrative, costruisce la sua identità tra la metà dell’’800 e i
primi decenni dello scorso secolo, attraverso tracciati viari e
insediamenti edilizi che generano una graduale conurbazione
dell’area collinare. Non più solo borgata marinara (definita da
Charles Dickens, come “la più salata, la più rude, la più piratesca”
che si sia mai vista)
1)
ma città moderna come segnatamente
analizzava alcuni anni fa Anna Manzini in un articolato scritto sulla
storia urbana di Camogli
2) .
Sono gli apporti ottocenteschi nel tessuto urbano a conferire alla
Camogli del tempo una spazialità “moderna”, funzionale e
