Liguria: contrade, villaggi, paesi, città. Vol I - page 60

stavano diventando un incubo per la Repubblica: e il Feudo di Campo dipendeva
dagli Asburgo!
Il 16 settembre 1599, approfittando di una rivolta dei campesi contro Gian
Francesco Spinola, cui era stato rifiutato il giuramento di fedeltà perché aveva
tentato ancora una volta di sopprimere libertà e privilegi imperiali del Feudo,
Genova inviò la propria soldataglia, formata da mercenari della Corsica, per
occupare il paese, ma gli attaccanti vennero respinti lasciando sul campo morti e
feriti (ancor oggi il luogo dell’eccidio è detto “a Còrsia”).
Il 22 luglio 1600 preponderanti forze genovesi occuparono militarmente il Feudo e
misero a ferro e a fuoco il paese (v. L. Rossi, “L’incendio di Campo”, ms.cit.; v.
Antonio Roccatagliata pag. 241-42 in
“Annali della repubblica di Genova
dall’anno 1581 all’anno 1607”, 1871; v.
“Memoria di G. B. Rossi sull’incendio
di Campo, 1600, Campo 31 luglio, ms.
pubbl. 2000”).
Gli uomini di Campo resistettero bene
in castello sino al 28 luglio per poi
arrendersi, dopo lunghe trattative che
prevedevano salve la vita e le
sostanze. Ma il tradimento era in
agguato: le sostanze furono confiscate
e vendute all’incanto sulla piazza del
paese agli avidi vicini; 135 capi
famiglia furono esiliati e molti rimasero
lontani per oltre trent’anni (gli ultimi
proscritti rientrarono nel 1639). Un bel
gruppo formò una banda, le “Lance
campesi” che, pur agli ordini del
Marchese del Carretto di Millesimo, si
diede alla guerriglia contro i beni
genovesi, combattendo e razziando
nel territorio del Dominio.
Il Castello
Nel 1611 la Camera Aulica Imperiale dichiarò il feudo campese decaduto e lo offrì
in vendita a Genova che si disse d’accordo, ma, come al solito e come era
successo per Oneglia, perse tempo tirando sul prezzo. Si intromise il celebre
condottiero Ambrogio Spinola che da Madrid poté permettersi di ordinare alla
Camera viennese la riconferma del feudo “il quale per essere tanto antico in mia
casa già di 300 anni, è cosa più che conveniente che io procuri di conservarlo in
essa” (v. ASGE, Archivio segreto, Litterarum n. g. 1980, 28 agosto 1611). Al
potentissimo generale non si poteva contraddire.
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