Liguria: contrade, villaggi, paesi, città. Vol I - page 80

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Fu don Rossi a mettere in circolo la leggenda della costruzione del ponte ad
opera “di una ricchissima Signora...ma nata d’illegittimo matrimonio e che la
medesima facesse anche fabbricare a quei tempi il ponte della Badia...Altri
dicono che fosse una Principessa, altri un’Imperatrice. Vi è ancora chi a capriccio
tiene che fosse l’Adelaide, ossia Adelasia, figlia dell’Imperatore Ottone, ritiratasi
col Principe Alerame ad abitar nei boschi di Savona e poi in Ferrania” (v. L.
Rossi, “Cronistoria di Campo, cit.”).
Ma con il Nostro bisogna andarci piano: Rossi era un poeta, con tutte le licenze
ed invenzioni proprie dell’artista, non uno storico. Cesare Peloso (1873-1955),
artista, pittore e scrittore campese, approfittò della leggenda di Adelasia così ben
congegnata da
don Luciano e
ne trasse un
romanzo (v. C.
Peloso, “Fra le
ombre
del
Medio
Evo”,
1933).
Sempre
don
Rossi in un suo
poema circa l’incendio del Feudo campese del 22-26 luglio 1600 scriveva: “Nel
secolo già settimo.../ quando de’ ponti alzaronsi le fabbriche.../ in dubbio è ancor
chi fabbricati gl’abbia / benché alcun voglie che memorie siano, / lasciate
d’Adelasia, o di gran Principe...”: oltre a riproporci l’antica favola di Adelasia, il
poeta diceva di un secolo settimo, cioè del 600 d.C. (v. L. Rossi, “L’incendio…”,
cit.).
Tuttavia, nell’altro suo poema sul disastro causato dall’alluvione del 26 agosto
1702 (v. L. Rossi, “Inundatio Campi”, cit.) ai versi 911-913, il poeta affermava,
invece, che dopo la tremenda piena “la Stura non ha più niente altro del suo
ponte se non un inutile troncone, vale a dire uno solo dei cinque pilastri che ti
ricorda dell’anno in cui fu eretto, il 704 dopo il parto della Vergine” (traduz). Il
nostro poeta dichiarava pertanto di aver visto tale lapide, posta “nella parte
anteriore, unicamente rimasta del primo pilone e del ponte tutto”, essendo stato il
resto spazzato via dalle acque. Tuttavia, a fronte dell’anno 704, sempre nello
stesso poema il poeta, in precedenza ai versi 499-500, aveva scritto ai versi 505-
507: “Insignibat opus duodemillesimus illud, / ut petra scripta docet, non
nongentesimus annus, / ut male fama refert, numeros male docta vetustos”
(ossia: “Rendeva insigne quell’opera l’anno 998, come mostra un’iscrizione su
pietra, non l’anno 900 come la voce pubblica erroneamente riferisce,
interpretando male gli antichi numeri”).
Come dire, che non esistono certezze e che il nostro, da buon poeta, giocava un
poco con i numeri: la costruzione avvenne durante il 600, nel 704, nell’833 o nel
998? Non indaghiamo ulteriormente, accontentandoci di fissare nei secoli finali
del primo Millennio cristiano la costruzione del manufatto. Il fatto che l’antico
ponte avesse quattro luci e che fosse di grandi dimensioni propone un’altra
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